venerdì 22 luglio 2011

Aracoeli e la storia, di Concetta D'Angeli

Cari lettori,
è con grande piacere che ospito oggi nel blog Concetta D'Angeli, ben conosciuta per i suoi studi morantiani, che ci offre "una rielaborazione delle pagine iniziali del saggio 'L’addio di Elsa Morante: Aracoeli,' in Leggere Elsa Morante: “Aracoeli”, “La Storia” e “Il mondo salvato dai ragazzini”, Roma, Carocci, 2003."
Grazie per la collaborazione!
~Gabrielle Popoff




Aracoeli e la storia
di
Concetta D’Angeli [1]

Non sono la prima a interpretare le vicende di Manuele e della sua famiglia anche come rappresentazioni della rovinosa compromissione della borghesia occidentale con i totalitarismi più truci del Novecento[2]; non si è invece notato abbastanza come Aracoeli si regga su una griglia cronologica che salda strettamente le tappe degli avvenimenti privati ad alcune scansioni tragiche della storia europea, a partire dagli anni Trenta. Si tratta di un vero e proprio parallelismo, analogo a quello che sottostà a La storia; come nel precedente romanzo, anche in quest’ultimo, per quanto in forme più criptiche, una stretta relazione viene fissata fra storie singole e familiari da una parte e storie collettive dall’altra – una relazione che anche qui si pone all’insegna dello scandalo, e anche qui viene riconosciuto alle stragi private il carattere di rovine storiche. Insomma, l’analogia fra micro e macro-storia, esplicitamente rappresentata ne La storia, non è meno presente in Aracoeli; è solo diventata più sotterranea.
Ciò significa che dalle posizioni assunte verso l’attualità con Il mondo salvato dai ragazzini, dall’apertura alla politica e ai suoi drammi che la raccolta poetica del ’68 rappresenta e che con la violenza di un trauma si riverbera nelle modalità stilistico-espressive delle sue ultime opere, la Morante non s’è allontanata più.

Nell’organizzare la struttura di Aracoeli la scrittrice tenne ben presenti le coordinate storiche nelle quali si inseriva il viaggio di Manuele: lo documentano, nei manoscritti[3], sia le puntuali annotazioni relative agli avvenimenti pubblici verificatisi negli anni in cui è collocata la vicenda romanzesca, sia le accurate ricerche e le verifiche, che la Morante condusse al riguardo e delle quali pure dà conto preciso.
Fra questi indizi voglio sottolinearne uno, significativo in modo particolare: in una stesura originaria (che non è rimasta, almeno fra le carte consultabili) il viaggio di Manuele in Spagna era previsto durante le vacanze di Natale; subito dopo la Morante ne cambiò la data, spostandolo alle feste dei morti del 1975. Lo scopo fu di legarlo di più agli avvenimenti politici di quell’autunno, come si ricava da un’annotazione autografa contenuta in una delle cartelle di fogli sparsi, che raccolgono rifacimenti parziali, note, appunti, eccetera: “N.B. IMPORTANTE! Correggere a suo luogo in base alle seguenti notizie: Franco morì il 20 novembre 1975 i quattro baschi furono giustiziati intorno all’ottobre [?] 1975 Il protagonista-narrante dunque andrà in Spagna ai primi novembre ’75 (ossia il suo compleanno) e non più a Natale”[4].
Sostengo insomma che quello che la critica ha definito la non-forma di Aracoeli dovrebbe piuttosto essere inteso come una forma particolare che, sebbene nascosta, fornisce la struttura del romanzo ed è rappresentata appunto dalla coincidenza cronologica fra gli avvenimenti privati di Manuele e la macrostoria europea: come se il parallelismo fra il piano collettivo e quello individuale, sottolineato nella Storia fino a diventare identità, qui fosse stato, sì, defilato e posto in secondo piano, ma non tanto da non contribuire, con le sue duplici scansioni funeste, a ribadire la collocazione tragica e pubblica di un romanzo che troppo superficialmente è stato interpretato solo come una vicenda familiare e psicologica.
La nascita di Manuele, il 4 novembre 1932, è connessa all’ascesa del nazismo in Germania, dove il Partito Nazional Socialista ottiene, nelle due consultazioni elettorali del luglio e del novembre del ’32, la maggioranza relativa, premessa all’incarico di governo che subito dopo verrà affidato a Hitler.
Nel 1936 Aracoeli e Eugenio regolarizzano col matrimonio il loro legame sentimentale, e Aracoeli e il piccolo Manuele si trasferiscono dalla clandestinità di Totetaco alla ufficialità mondana dei Quartieri Alti; nello stesso anno hanno inizio sia la guerra di Spagna sia l’avventura coloniale italiana, con la conquista dell’Etiopia.
Nel 1938 muore in Spagna, combattendo contro i franchisti, il mitico Manuel, fratello di Aracoeli e doppio glorioso di Manuelino; in Italia vengono promulgate le leggi razziali antiebraiche.
Il tragico 1939 è scandito, sul piano privato, dalle due morti, in successione “crescendo”, della neonata Carina e di Aracoeli; e, sul piano pubblico, dalle due catastrofi, anch’esse in posizione di climax, della conquista franchista della Spagna e dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Nel 1946 muore Eugenio, padre di Manuele, e i “padri della Patria” danno vita alla Repubblica Italiana: una riflessione sulla sostanziale ambiguità e inadeguatezza di ogni paternità e dei valori che le sono legati non sarebbe inadeguata a questo proposito.
Infine nel week-end dei morti del 1975 Manuele compie il viaggio in Spagna alla ricerca di Aracoeli (o del suo ricordo, o del suo fantasma); nel mese di novembre dello stesso anno avvengono due morti che per il romanzo morantiano (e per Elsa Morante personalmente) hanno valore di grande momento: quella di Pier Paolo Pasolini, nella notte fra il 1° e il 2, in perfetta coincidenza con il viaggio di Manuele; e, il 20,  quella del Caudillo Francisco Franco, che chiude la sua lunga repressiva dittatura.

A questa griglia si può aggiungere un fatto extra-testuale ma non meno significativo: all’indomani del rapimento Moro da parte di rivoluzionari terroristi (20 marzo 1978), mentre era in corso la stesura di Aracoeli, cominciata due anni prima, la Morante scrisse alle Brigate Rosse, formazione alla quale erano legati i rapitori dell’uomo politico, una lettera che testimonia il coinvolgimento emotivo e intellettuale della scrittrice nei fatti del suo tempo, anche in quelli più inquietanti e dolorosi – è bene ricordare oggi, a distanza di tre decenni, che non furono molti, negli anni di piombo, i protagonisti della cultura italiana dotati di tale coraggio da pronunciarsi con chiarezza sugli avvenimenti drammatici che sconvolgevano il Paese.
La lettera però non fu conclusa e non fu mai pubblicata: un moto di scoramento forse o un’ammissione d’inadeguatezza, che trova una possibile equivalenza nella forma con la quale, in Aracoeli, prende spazio la storia. Voglio dire che proprio nel segno dello smarrimento e della crisi si potrebbe spiegare perché in quest’opera l’attenzione ai fatti politici venga nascosta nelle pieghe di una storia privata, perché l’aggancio ai fatti collettivi, che nella Storia veniva mostrato in piena luce, in Aracoeli invece, pur agendo come sostegno della struttura romanzesca, lavori in sordina.
E tuttavia, nonostante pessimismi, perplessità, dubbi e sconforti, nemmeno nell’ultimo romanzo Elsa Morante ha contraddetto al mandato che, fin da Pro o contro la bomba atomica, ha riconosciuto all’arte: il compito, storico oltre che morale, di ridare realtà al mondo.




[1] Questo contributo è la rielaborazione delle pagine iniziali del mio saggio L’addio di Elsa Morante: “Aracoeli”, in Leggere Elsa Morante: “Aracoeli”, “La Storia” e “Il mondo salvato dai ragazzini”, Roma, Carocci, 2003.
[2] Si veda in particolare Giovanna Rosa, Cattedrali di carta. Elsa Morante romanziere, Milano, Il Saggiatore, 1995.
[3] Ho consultato le carte di Elsa Morante depositate presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.
[4] Dell’episodio dell’uccisione dei baschi tramite il supplizio della garrota, un episodio che suscitò sdegno nel mondo anche per la forma crudele e arcaica scelta per l’esecuzione, c’è un puntuale rimando nel romanzo, al momento della partenza di Manuele da Milano.

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